Una serena prima serata di mezz’inverno di qualche anno fa, entrando nel pub gestito da un amico, vidi un crocchio di ragazzini attorno ad un tizio barbuto; era vestito “civile”, ma con una crociona di legno al collo.
Noncurante, mi sedetti ed ordinai la mia solita birra, senza poter fare a meno d’ascoltare le amenità che gli uscivano di bocca a ciclo continuo. Beh, puoi passare sopra tante, pensai, ma non certo ad una in particolare: “Questo e questo e questo”, diceva, indicando il tavolo, il bicchiere mezzo pieno, la sedia, “sono tutti fatti dello stesso mattoncino; ma chi l’ha creato, questo mattoncino? Non lo sappiamo. Però possiamo conoscerlo tramite queste stesse cose che vediamo, ed amarlo perchè a lui dobbiamo l’esistenza di tutto ciò”.
Non ne potei più. Mi girai, e feci: “Mi scusi, per caso lei può amare ciò che non conosce?”. “Certamente!”, esclamò. “Sa quando lei incontra per la prima volta una persona, ed avverte quella sensazione allo stomaco?”. “Si, certo: e sicuramente, sarà capitata una cosa del genere pure a lei, in passato, no?”. Non rispose. “… e forse adesso non può più permettersi di sentire la stessa sensazione, dato il suo impegno”, incalzai. Lui sorseggiava. Capivo che fossero domande indiscrete: cambiai registro. “Ciò che lei ha indicato non è “amore”, ma piuttosto attrazione, dovuta a fattori di familiarità ed analogia”. “Si”, interruppe, “ma appunto, puoi apprezzare e amare Dio solo se l’hai conosciuto a fondo; per questo devi sforzarti di conoscerlo per poterlo fare”, incalzò. “Certo, sicuro: ma dato che, come ho detto, puoi amare solo ciò che hai conosciuto da te, non puoi fare la stessa cosa nei confronti di ciò che ti dicono d’amare per sentito dire, indirettamente, senza vederlo nè toccarlo nè sentirlo. Non puoi amare ciò che conosci in superficie o per sentito dire, ma solo ciò che hai imparato ad apprezzare da te, nel tempo”. Finì di bere la sua birra, facendo finta di niente: gli sentii dire un basso “andiamo”, facendo cenno ai ragazzi verso la stanza adiacente, senza nemmeno salutare.
Questa “parabola didascalica” è, secondo me, adattissima per introdurre un argomento d’attualità analogo, che per amor di sintesi potremmo chiamare “problema di entropia cognitiva”. Ad esempio, Stephen Hawking è il classico caso di scienziato ipervalutato a cagione di clichè e pietismo, che formula teorie non del tutto funzionanti innestate sulla base di quelle già collaudate, e nonostante ciò viene pubblicato a tutto spiano ad occhi chiusi, vendendo milioni di libri che si ridurranno pressochè a carta straccia, dato che dette teorie si sono rivelate perlopiù erronee. Accadde già nel 2004 per sua stessa ammissione con la scommessa sui wormholes, ed accadrà anche oggi, a sei anni di distanza, per la sua ultima “teoria”, “sfornata” con grande dispiego di mezzi: secondo lui, infatti, dato che esiste una legge come quella della gravità, l’universo potrebbe essersi creato da sè “dal nulla”, senza bisogno di entità divine esterne.
Non che Hawking sia un scemo, attenzione: conosce la teoria, ma probabilmente arranca in logica. O forse è molto stanco, sconsolato, disamorato. La maestrina delle elementari avrebbe detto “è sveglio, è vivace, ma… non si applica”. Diciamo che si tratta del classico esempio capace di farti capire come l’essere “esperti” in qualcosa non renda biunivocamente incapaci di spararne qualcuna grossa, di tanto in tanto. Personalmente, infatti, ritengo piuttosto che Hawking debba prendersi finalmente un lungo periodo di riposo.
Non mi reputo un logico eccelso, nè possiedo delle nozioni avanzate di fisica (e forse proprio per questo mi salvo da problemi simili…), ma credo che qua il problema sia più formale che tecnico. Inutile rimarcare che sparate come le sue risultino molto simili a teorie cosmogenetiche d’estrazione biblica; o meglio, cristianoide, dal momento che in fondo il Genesi non parla affatto di creazione dal nulla. Il problema dell’affermazione hawkinghiana è che egli ha formulato un banale entimema: trasformare un sistema di riferimento isolato (almeno così pare) in un’entità capace di creare se stessa, allo scopo di superare l’impasse dell’intervento di entità esterne, ha tutti i santi crismi di un’asserzione misterico-metafisica che tenterebbe d’eludere (o meglio, inquinare…) la logica basale.
Sussistono delle aporie sia formali che sostanziali in questa asserzione portante: con “crearsi da se dal nulla”, al limite Hawking avrà voluto dire che l’universo si sia formato (ovvero, che abbia “assunto la forma attuale”…) tutt’al più da un nucleo preesistente, e questo soltanto a cagione della gravità (che è comunque una “qualità” intrinseca della materia che lo compone: no materia, no gravità).
Dunque, tutto ciò significa che, per eccesso di confidenza, di sintesi e di “ragionamento” (e forse anche di disperazione…), Hawking abbia ulteriormente distorto una proposizione altrimenti “razionalizzabile”, ma comunque non razionale, mescolando creazione ex nihilo con “qualcos’altro”.
Queste impasse così ricorrenti finiscono – ovviamente – per far gridare alla vittoria gli sciacalli religiosi, tuttora ben rigogliosi soprattutto tra parecchi suoi colleghi, pronti ad approfittare di errori del genere per affermare paradossalmente addirittura che la scienza non possa scoprire tutto: mi chiedo dunque se costoro non facciano meglio a dedicarsi ad altri passatempi più “statici”, anzichè fare gli scienziati. Sia come sia, le fallacie di Hawking e simili non dimostreranno comunque che le teorie deutero-genesiste siano valide; d’altronde, ritengo che si possano avanzare delle serie riserve logiche su parecchi punti della teoria cosmologica attualmente in voga da quasi un secolo e mezzo.
Parafrasando il buon Viennese, direi che in alcuni casi certi scienziati pensano anche troppo. La cosa peggiore è che, a primo acchito, certe loro elucubrazioni erronee risultano invisibili ai fisici stessi, ma spesso non ai cultori della logica (che, non paradossalmente, è stata pienamente integrata nella matematica): che non deve necessariamente sottostare a processi di complessificazione, per poter risultare attraente, e quindi “valida” (si sa: certi “pensatori scientifici” giudicano valida una cosa soltanto qualora essa risultasse sufficientemente ingarbugliata). Capiamoci bene: io ritengo fisica e materie correlate estremamente importanti (anzi, fondamentali) per la gnosi umana, ovvero le uniche che possono annichilire lo stupidario “teocosmico”, ma occorre anche evitarne gli eccessi.
Non possiamo paragonare fisica e filosofia: sebbene integrabili entro certe estensioni, l’una si avvale di numeri, l’altra di idee “parolificate”. Potremmo senz’altro ridurre la dialettica filosofica a funzioni matematiche, è vero, ma gli mancherebbe una cosa: l'”anima” (ànemos, “vento”; spiritus), dovuta più che altro al legame (da “lèghein”, “dire” in greco, ovvero “legare” in latino: da cui “logica”) con cui due o più persone interagiscono. L'”anima” ti permette di “amare” ciò che hai “conosciuto” interagendovi; il numero a se stante, no.
La filosofia ha dunque un grosso vantaggio rispetto alla fisica: può immaginare senza freni, ma ha delle regole etiche cui sottostare (altrimenti parleremmo di sofistica e di teologia…) e può sicuramente cogliere i molti “buchi neri” logici in cui la prima cade assai frequentemente nella pretesa d’osservare il cielo dimenticando la Terra, come accadde al buon Talete.
Ottimo articolo! Molto azzeccato il riferimento finale a Talete, il primo filosofo (e soprattutto fisico) della storia del pensiero, che inciampò in una bacinella d’acqua mentre era assorto nelle sue contemplazioni celesti. Purtroppo accade spesso che scienziati rinomati e di fama mondiale approfittino della loro autorevolezza per pronunciarsi su questioni che esulano dalla scienza, quasi volessero sostituirsi ai teologi. Odifreddi ha giustamente osservato che le vendite di libri di divulgazione scientifica rischiano di dimezzarsi nel caso vi sia un’equazione “di troppo”, mentre vengono raddoppiate da ogni riferimento a Dio……
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Grazie Matt: occhio però, che a quanto pare “qualcuno” (qualche rosicone/a) qua ce l’avrebbe con i filosofi…
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Non ho capito bene dove il sudetto articolo vuole andare a parare. Io, nel mio piccolo, mi son fatta l’idea che tutta questa faccendo del dibattito circa l’esitenza di un Dio, la creazione etc. si fonda su presupposti di “meccanica logica” fuorvianti, inapplicabili se non addirittura errati.
Il punto è che: NON tutte le domande formulabili, sottendono un reale problema. E che anzi, essendo le domande stimolate da riferimenti di esperienza “apparenti”, esse stesse sono spesso domande inapplicabili in quanto rispondenti a nessuna “realtà” sottostante.
Per esempio, domandarsi se il “colore verde” è quadrato o tondo, o se pesa di più del colore rosso, sono domande di nessun senso, e per le quale dibattere una risposta porta dove ci pare, o si ami andare. Insomma, il problema di domandarsi se una certa domanda” ha senso”, è un problema che precede la risposta alla domanda stessa.
A farla breve, le mie rifelessioni mi portano ad osservare che domande tipo “Dio esiste o no” o “come è nato il mondo” sono domande senza alcun senso logico, che non hanno ragione di essere, in quanto generate da falsi e/o fuorvinati presupposti pseudo-logici.
Vi risparmio quì per brevità ,un maggior supporto argomentivo a sostegno della mia idea, ma non ho mai trovato nessuno che considerasse le cose sotto questa angolazione.
Hugs&kisses
Fiona Petito
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L’articolo “vuole andare a parare” sul fatto che, alla lunga, indipendentemente da precedenti errori di valutazione commessi da un dato formulatore, quest’ultimo tenderebbe eventualmente a cercare di rabberciare un dato contesto formulativo pregresso scadendo infine in ibridi di compromesso, giocoforza; ciò anche qualora il formulatore non fosse credente. Il motivo per cui si potrebbe rischiare di finire a ciò, è dovuto appunto al fatto che, nel considerare un dato elemento da analizzare, non lo si fa in maniera avulsa da esternalità (potremmo mai? L’unica evidenza che avremmo di Dio, con definizioni e caratteristiche, proviene da “testi sacri” e da chi ha cercato di farli quadrare in rapporto a ciò che l’uomo è e che lo circonda), per cui il chiedersi se Dio esista o meno assume piuttosto un’importanza proporzionalmente ponderale.
Dunque, la questione dell’esistenza o meno di Dio potrà risultare inutile per te a livello personale, casomai, quale che sia il motivo per cui tu la ritenga tale, ma non certo per chi la considera nel contesto di un sistema che ne trae garanzia al fine di percepire, in sua forza, grandi benefici da parte di terzi. D’altronde, tale domanda indiretta risulta chiaramente già esaudita appunto a seguito dalla disamina delle asserzioni di chi ritiene tale essere assolutamente esistente.
Ciao.
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La tua risposta non considera il mio commento: forse non mi son fatta capire. Il mio punto è che “domandarsi” se Dio esiste o no, o se il mondo sia stato o meno creato da un Dio è dibattere un…non-problema, un problema che NON sussiste… (ed un tentativo a supportare questa posizione l’ho brevemente accennato nel mio commento… — ma che se si vuole, posso argomentarlo meglio).
Ove mai questa istanza sia “accettabile”, invalida ogni altro dibattito intorno a Dio, alla sua esistenza ed alla creazione del mondo… non importa in quale sistema uno la consideri o la veda garantita. Se si risponde: “no, la domadanda è sensata” (cioè, “domandarsi” se Dio esista o meno etc.)… ma allora si spieghi prima perchè “è una domanda sensata”; poi andremo ad analizzare se poi questo Dio esiste o meno, come è fatto e tutto il resto.
lI “superficiale credente (meglio noto ed identificabile come “povero di spirito”, appunto) “finirà” per riferirsi alla natura, ed alle sue leggi, non rendendosi conto che proprio così facendo da credito alla “inapplicabilità” della domanda circa l’esistenza di Dio.
Fiona Petito
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Non è che “non ho considerato il tuo commento” (a chi avrei risposto , senò?); anzi, era chiaro che tu ti riferissi in genere ad un contesto avventizio (quasi “fuori tema”) e generico, cioè che motivo ci sia di preoccuparsi di queste cose (in quanto tu le ritieni “non-problema”), laddove io avevo precisamente contestualizzato sul caso argomentato. Ti avevo capito benissimo: “a che pro continuare su questi argomenti “senza senso”?”. Magari non avrai chiarito bene in base a quale nozione o tua scoperta tu possa dire che si tratti di un problema di cui sarebbe “inutile parlare” (un “non-problema”), ma il senso è quello, mi pare.
Cosa posso dirti? Che se fosse per me e se si trattasse di un gioco, direi la stessa cosa: purtroppo, non è un gioco nè qualcosa d’individuale. Si tratta di problema serio ed a carattere globale, magari incomprensibile all’ateismo individualista od al qualunquismo personalistico (modi di “pensare” ormai marginali, per fortuna) tipico di questi tempi. Oggi purtroppo ci sono molte persone che dicono d’avere a cuore la società ed il progresso, ma dall’altro lato parlano di “libertà di credere” in Dio e cose simili (come se l’uno valesse l’altro, e non vi fossero implicazioni ben gravi nel primo), oppure di non preoccuparsene, più perchè magari sono pigri o non hanno considerato la cosa nella sua completezza, inconvenienti inclusi.
Piuttosto, avevo anzi ampliato il tuo commento, aggiungendovi un’estensione su punti che evidentemente avevi considerato soltanto marginalmente, dal momento che, come vedo, ritorni sul “non-problema”, che in realtà potrà essere tale solo per te, ripeto, poichè la stragrande maggioranza dell’umanità è credente, si arroga il comando della società cui appartieni pure tu, e mantiene volentieri chi propugna l’indiscutibile esistenza di Dio annessi e connessi. Evidentemente, nel caso, ad esempio per Hawking (di cui in oggetto) la questione è abbastanza seria e degna di dibattimento”; dunque il “non-problema” è qualcosa che riguarda te e la sparuta minoranza (rispetto a credenti ed atei convinti) chi la pensa allo stesso modo, tutto qua.
Ovviamente, allo stesso modo in cui nessuno toglie a nessuno la libertà di credere in Dio o meno (nella speranza che ciò si restringa all’individuo e non al globale…), nè di credere importante che si faccia luce sulla verità in merito, nessuno ti toglie la libertà di ritenere “inutile” parlare di questi argomenti (e paradossalmente, come vedi, devi comunque parlare del fatto che sia inutile parlarne…), senza che ciò non li renda comunque oggettivamente prioritari rispetto a questioni positive a carattere più globale.
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Fino all’età di 35 anni credevo nel mondo che mi circondava e in cui vivevo,e pensavo tutto quello insegnatomi a scquola fosse verbo.Poi mi sono reso conto leggendo le cronache di oscuri personaggi,che molte storie erano inventate per motivi politici o religiosi.Con l’arrivo di Internet la mia ricerca sulle varie notizie si è ingigantita ,ora l’informazione è diventata globale.Ma,bisogna stare attenti,perchè la disinformazione è in agguato per farci credere che il vero è falso.Penso ai 500 anni di torture e uccisioni per garantire ai cristiani la continuità della loro fede.Ma,ora nessuno si ricorda dei 20.000 catari massacreti e anche bruciati vivi nei forni ( primi forni crematori ) ,è stato una totale pulizia etnica furono uccisi donne,bambini e gli stupri non si contarono.Forse sono questi i veri valori del cristianesimo.
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