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Otto comandamenti su dieci si fondano sulla logica del divieto, che del resto è presente anche nel precetto che si ascrive a Dio. Il Signore, nel temere le altre divinità (non avrai altri dèi), osteggia i concorrenti (non ti prostrerai a loro) e minaccia gli uomini (un Dio geloso, che punisce) mostrando implicitamente tutta la sua debolezza.
Dove non c’è l’esplicita proibizione, c’è comunque l’intimazione (“onora“ il padre e la madre), cosa ben diversa dall’amore. Non a caso, quando la relazione tra genitori e figli è improntata alla saggezza educativa, fiorisce spontaneo il volersi bene reciproco, e di conseguenza svanisce l’imperativo “onora”. |
Il quarto comandamento ha un risvolto addirittura crudele: chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Dio, in realtà, non si rende conto che la maleducazione dei figli è frutto di quella dei genitori, in un continuo reiterarsi dei comportamenti. Iddio non vede possibilità di mutamento [la pedagogia nei primi sette anni di vita]. E non vedendola, prescrive la punizione e condanna ex post, fino a giustificare il castigo mortale per sanare ciò che oramai è insanabile. Tuttavia, se l’Altissimo tralascia la pedagogia è perché non la conosce.
Dunque, la primissima legge che soggiace ai comandamenti è quella della incurabilità delle malattie sociali. Dopodiché, tutto discende a catena. Dopodiché, al di fuori dei precetti passivi, non è previsto alcun percorso propositivo. Dopodiché, non esiste nelle disposizioni testamentarie una scienza della felicità, e le uniche scienze sociali riguardano gli spiriti indemoniati da scacciare con la preghiera.
Il tempo ha inficiato il primato della Tavola delle Leggi. La Dichiarazione universale dei diritti umani è più avanzata del Decalogo perché apre ai diritti anziché chiudersi nella prescrizione di non fare ciò che non va fatto. Perfino la Carta sui diritti degli animali è più avanzata!
Eppure, una dottrina che pretende di essere celestiale dovrebbe svelare la teoria della felicità. E invece niente. Niente di niente.
Va detto, comunque, che la concezione del “primo Dio” è in contrasto con quella del “secondo Dio”. Che il giudizio umano sia mutabile è più che lecito, ma che il pensiero dell’Essere divino non sia sempre lo stesso è incongruente. Lo stesso Gesù, consapevole del divario esistente tra le due dottrine, con saggio trasformismo ideò l’espressione “non per abolire, ma per dare compimento”, pur abolendo e pur cambiando tutta la vecchia morale divina.
Ciò nondimeno, anche le prime leggi di Dio, ricorrendo all’espediente “ubbidire a Dio per ubbidire alle Leggi”, hanno consentito alcuni progressi sociali. La festività del sabato, ad esempio, può essere considerata la prima conquista sindacale della storia, mediante l’artificio del riposo consacrato alle fatiche del Signore; dal momento che Dio avrebbe dovuto compiere la sua opera senza fatica alcuna. |
Nel leggere questo articolo, sono rimasta decisamente sconcertata dalla superficialità con cui è scritto. Una serie di luoghi comuni, anche piuttosto banali, che denotano la totale mancanza di conoscenza del Decalogo e della Torah in generale. Poiché il testo, letto con attenzione e onestà intellettuale, senza alcun bisogno di farne apologia, dice cose completamente diverse da quelle affermate sopra, esso non fa altro che lasciar trasparire l’ignoranza e l’incompetenza di chi lo ha scritto.
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